Stephan Hüsler, direttore di Retina Suisse: Retinite pigmentosa – vivere con una visione a tunnel

La diagnosi di una malattia ereditaria della retina è uno shock. Come le persone colpite affrontano la perdita progressiva della vista e chi beneficia della nuova terapia genica.

Di Felicitas Witte

Quando Stephan Hüsler, padre di tre figli, rincasava alla sera, scattava l’«allarme papà»: via tutti i bambini e i loro giocattoli! «Altrimenti sarei inciampato sopra i bambini e avrei calpestato i loro giochi», ricorda l’ormai 62enne.

Verso i venticinque anni si è reso conto di non vederci più così bene, soprattutto al buio e nelle zone periferiche del suo campo visivo. È stato costretto ad abbandonare il ciclismo all’età di 30 anni e non gli è mai stato permesso di guidare un’auto. Continuava a scontrarsi con altre persone, a sbattere contro pilastri, pali o cartelli e a ferirsi. Il suo oftalmologo parlava di spostamenti di pigmento nella retina.

«Ho ignorato queste indicazioni, attribuendo il mio stato alla miopia e all’astigmatismo», spiega Hüsler. Ha ricevuto la diagnosi una settimana prima del suo 40° compleanno: una malattia ereditaria della retina che progredisce ed è caratterizzata da una crescente perdita della vista. «Da un lato è stato un sollievo, perché finalmente sapevo come mai la mia vista era così scarsa», afferma Hüsler. D’altra parte, si rese
lentamente conto cosa questo implicava. «Il pensiero di mia moglie e dei nostri tre piccoli bambini mi ha permesso di andare avanti».

Mutazioni in oltre 280 geni

Le malattie retiniche ereditarie o distrofie retiniche sono un gruppo di patologie causate da mutazioni – ossia cambiamenti – in un gene specifico. Ad oggi sono state identificate decine di migliaia di mutazioni
in oltre 280 geni. Le mutazioni interrompono alcune vie di segnalazione che portano al graduale deperimento dei fotorecettori della retina.

A differenza di altre malattie della retina, come quelle causate da un diabete di lunga durata, i primi sintomi compaiono spesso già nell’infanzia o in giovane età adulta. «Questo rende la malattia ancora più grave, perché le persone colpite hanno davanti a sé tutta la vita», spiega Hendrik Scholl, direttore della Clinica oculistica dell’Ospedale universitario di Basilea (fino al 2024, nota di Retina Suisse). «Tuttavia vi
sono anche pazienti che fino a 60 o 70 anni non hanno pressoché alcuna limitazione alla vista».

Spesso queste malattie sono imputabili a un’eredità autosomica recessiva. Affinché la malattia si manifesti è quindi necessario un gene malato della madre e uno del padre. Alcune patologie retiniche
colpiscono principalmente i bastoncelli, i fotorecettori con cui percepiamo la luce e il buio.

Queste forme sono chiamate retinite pigmentosa. In genere, le persone colpite per prima cosa notano delle difficoltà a vedere bene al buio. In seguito, il loro campo visivo si restringe sempre di più, fino a quando riescono a vedere solo come attraverso un tunnel. In altri casi, deperiscono prima i fotorecettori conici, responsabili dell’elevata acutezza visiva e della visione dei colori. In alcuni casi sono colpiti
entrambi i tipi di cellule, come in presenza dell’amaurosi congenita di Leber.

La perdita della vista inizia già nei primi mesi di vita. I bebè non riescono a fissare bene lo sguardo, gli occhi tremano e il riflesso pupillare non si attiva. Alcune malattie sono limitate all’area della visione più nitida, la macula. La vista delle persone colpite diventa sempre più sfocata, ma di regola non si diventa completamente ciechi.

Negli ultimi decenni, la diagnostica è migliorata a tal punto che le malattie possono essere classificate e il loro decorso risulta più prevedibile. Naturalmente, all’inizio la diagnosi è sempre uno shock, afferma Scholl. «Cerco di spiegare che forse non è così terribile come sembra all’inizio, e che non ci si ritrova improvvisamente al buio». Scholl è sempre sorpreso dal fatto che molte e molti delle sue e dei suoi
pazienti conducevano una vita assai normale e diverse/i di loro hanno anche fatto carriera.

Consulenza a persone provenienti da tutta la Svizzera

Dopo 23 anni, Stephan Hüsler ha dovuto abbandonare a malincuore il proprio lavoro allo sportello bancario. «Non vedevo più i miei clienti, mi scontravo con colleghe e colleghi, in ufficio urtavo i mobili e non ero più in grado di verificare le firme della clientela. Tutto questo era un rischio per la sicurezza». In seguito, si è formato nel settore del lavoro sociale ed è diventato direttore di Retina Suisse. Ammette che oggi il suo lavoro è molto più interessante rispetto a prima. «Fornisco consulenza a persone di tutta la Svizzera nella loro lingua madre, sostengo le persone colpite, parlo con oftalmologhe e oftalmologi di spicco delle più recenti scoperte, partecipo a congressi medici e organizzo conferenze. Niente
di tutto questo sarebbe stato possibile se fossi rimasto a lavorare in banca».

Solo per un sottotipo di amaurosi congenita di Leber, quello con una mutazione nel gene RPE65, nel 2020 è stata approvata una terapia genica. Le restanti malattie della retina non possono ancora essere
curate. Nella terapia genica, le versioni sane del gene RPE65 vengono trasportate in virus vuoti – che fungono per così dire da taxi – e iniettate sotto la retina durante un’operazione. I taxi virali scaricano i geni sotto la retina, dove viene poi prodotto l’RPE65 mancante.

In uno studio pertinente condotto su 11 adulti e 20 bambini, le e i partecipanti trattati hanno ottenuto risultati migliori in un test costituito da un percorso predefinito, in cui sono stati inclusi ostacoli e gradini e che andava affrontato in condizioni di scarsa illuminazione. Tuttavia, dopo l’autorizzazione, è stato osservato che alcune/i pazienti hanno subito danni alla retina in determinate aree.

«Perlomeno l’effetto della terapia genica è stato mantenuto», spiega Scholl. Un aspetto che andrebbe approfondito. «Solo tra qualche anno saremo in grado di pronunciarci in modo definitivo sui benefici a lungo termine della terapia genica».

Conferma tramite test genetico

Retina Suisse, oftalmologhe e oftalmologi consigliano di sottoporsi a un test genetico per ottenere una conferma della diagnosi di una malattia della retina. «Ad eccezione della mutazione del gene RPE65, il test genetico oggi non ha conseguenze terapeutiche», afferma Nicole Eter, direttrice della Clinica oculistica dell’Ospedale universitario di Münster. «Tuttavia, le/i pazienti possono partecipare a studi a dipendenza della mutazione e una diagnosi precisa è importante per la pianificazione familiare».

Stephan Hüsler racconta di essere stato felice quando ha scoperto il risultato del suo test genetico: il suo gene difettoso viene ereditato in modo tale che i suoi figli non svilupperanno la malattia. Tuttavia, ogni
paziente ha il diritto di non sottoporsi a un test genetico. Ciò a cui non bisognerebbe rinunciare invece sono le annuali visite di controllo, spiega Eter. «Questo non è solo importante per sapere se si può ancora guidare, bensì anche per riconoscere tempestivamente eventuali complicazioni curabili».

I sintomi tipici sono l’offuscamento del cristallino o l’accumulo di liquidi nel punto in cui la visione è più nitida. Per ovviare a questi problemi si può ripiegare su una lente artificiale o su appositi farmaci.

Diverse nuove terapie sono in fase di sperimentazione. Queste includono terapie geniche per mutazioni differenti da RPE65, la «chirurgia del genoma» (dove il gene difettoso viene asportato e
sostituito con un gene sano), le terapie che si avvalgono di cellule staminali per creare una nuova retina oppure la terapia optogenetica. In questo caso, proteine fotosensibili vengono introdotte nelle cellule
retiniche che reagiscono agli stimoli luminosi e trasmettono i segnali al cervello. Invece gli impianti retinici che convertono le immagini dell’ambiente circostante in impulsi elettrici non hanno dato i risultati che
ci si aspettava.

«Sapremo solo fra qualche anno quale di questi approcci si affermerà», sottolinea Scholl. «E forse, grazie all’intelligenza artificiale, avremo maggiori opportunità». Sono già stati fatti i primi tentativi di scortare
persone non vedenti attraverso un campus universitario, un albergo o un centro commerciale con l’aiuto di telefoni cellulari e dell’intelligenza artificiale.

Pubblicato sulla NZZ am Sonntag, 5 novembre 2023, p.11 (supplemento Salute)

Erschienen in der NZZ am Sonntag, 5.11.2023, S.11 (Beilage Gesundheit)

Artikel NZZ am Sonntag

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