Rilevamento dell’ossigeno nelle cellule: il Premio Nobel per la medicina 2019 è di grandissimo rilievo anche per la ricerca sulla retina

11.10.2019

Prof. Dr. Christian Grimm

Il Premio Nobel per la medicina di quest’anno è stato conferito a William G. Kaelin, Gregg L. Semenza e Peter J. Ratcliffe per i loro innovativi lavori sulla reazione delle cellule all’ipossia (la carenza d’ossigeno. Ndr). Tutte le cellule del corpo hanno bisogno di ossigeno per generare energia. Normalmente ciò non pone problemi in quanto i meccanismi necessari allo scopo sono perfettamente adattati gli uni agli altri. Ma cosa succede se improvvisamente le cellule ricevono meno ossigeno del necessario? Come può, la cellula, reagire in simili situazioni? È proprio questo il problema che i tre scienziati premiati con il Premio Nobel hanno risolto con le loro ricerche. Sono infatti riusciti a dimostrare che esistono dei fattori, praticamente prodotti in ogni cellula, che in presenza di quantità sufficienti di ossigeno sono immediatamente smaltiti. Ciò grazie a una reazione enzimatica, la quale ha bisogno di ossigeno come substrato. Se il substrato ‘ossigeno’ è presente, i fattori in questione vengono idrossilati, cioè ricevono un marchio pre-smaltimento, e per finire, i meccanismi propri della cellula li scompongono nei loro elementi basilari. Se c’è meno ossigeno del necessario (o se non ce n’è del tutto), l’idrossilasi non ha luogo, i fattori non sono smaltiti e allora possono adempiere alla loro funzione. Non a caso sono chiamati ‘hypoxia-inducible factors’ (HIF). Infatti sono inducibili in condizioni di ipossia. La funzione di questi fattori è di regolare dozzine di geni, se non addirittura centinaia, che svolgono dei ruoli essenziali a livello di metabolismo cellulare. Grazie ad essi le cellule possono adeguarsi alle nuove condizioni di scarsità d’ossigeno e sopravvivere.

Che relazione c’è tra le scoperte dei tre scienziati premiati con il Nobel con la ricerca sulla retina e le malattie retiniche che portano a cecità?

La retina è uno degli organi con il maggior bisogno d’ossigeno. L’ossigeno arriva alle sue cellule per mezzo dei vasi sanguigni della retina stessa e dell’annessa coroide. Se l’irrorazione sanguigna è perturbata, si instaura rapidamente una scarsità d’ossigeno alla quale le cellule della retina devono reagire. Per farlo mettono in azione il meccanismo scoperto dai premiati con il Nobel. A questo punto, però, si pone il problema che il sistema HIF sembra rispondere in primo luogo alla carenza d’ossigeno di breve durata. Tuttavia, in alcune affezioni della retina la carenza di ossigeno può farsi cronica, come per esempio nei casi di retinopatia diabetica, glaucoma o degenerazione maculare correlata all’età (AMD). Nella forma umida della AMD, quest’ipossia conduce, a causa dell’azione dell’HIF, a un’eccessiva produzione del fattore di crescita VEGF e di conseguenza a neovascolarizzazioni, cioè alla formazione di nuovi vasi sanguigni che penetrano nella retina. Attualmente l’impiego di farmaci che intercettano il VEGF è ormai una terapia riconosciuta per la forma umida della AMD e produce buoni risultati.

Sussistono però anche indicazioni relative a un possibile ruolo dei fattori HIF e di una blanda ipossia cronica nell’insorgenza della forma secca della AMD. Sembra infatti che nella retina di per sé sana, ma che va invecchiando, per effetto di modifiche dell’approvvigionamento d’ossigeno dovute all’età, diversi geni controllati dai fattori HIF siano sovrattivati. Ciò potrebbe contribuire all’insorgere della malattia. In modelli animali è stato dimostrato che un’ipossia cronica, rispettivamente una risposta ipossica cronica nelle cellule, può condurre a una degenerazione della retina, evitabile se si inattivassero i fattori HIF. In numerosi laboratori si sta ora studiando la possibilità o di migliorare il flusso sanguigno nell’occhio (che sta invecchiando) oppure di ridurre l’attività cronica dei fattori HIF. In tal modo si spera di riuscire a impedire l’insorgere di una AMD o perlomeno a procrastinarla. Naturalmente ciò non riuscirà in tutti i casi di AMD, soprattutto non se altri fattori di rischio sono presenti in misura notevole. Ciononostante, grazie ai nuovi riconoscimenti basanti sulle scoperte di Kaelin, Semenza e Ratcliffe nuove opportunità di realizzare terapie efficaci contro le malattie della retina che portano a cecità si presentano.

Christian Grimm è professore di oftalmologia sperimentale e direttore del gruppo di ricerca Laboratorio di biologia cellulare della retina dell’Università di Zurigo. È pure mebro del comitato medico-scientifico di Retina Suisse.

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